giovedì 18 settembre 2008

Affondando l'Università...

I magnifici rettori non sono notoriamente dei sovversivi. Un senato accademico, tantomeno. Eppure la nostra ministra è riuscita ad incendiare gli animi delle alte cariche dell'universitas patavina. Tagliando i fondi, progettando a tavolino la distruzione dell'università pubblica e la sua sostituzione con quella privata, trasformando le università in fondazioni e sbolognando a qualche magnate il compito di istruire il popolo italiano. Applaudite pure i nostri carnefici. Ne pagheremo tutti le conseguenze, e saremo così ignoranti da non rendercene nemmeno conto.

Qui di seguito un comunicato diffuso dagli uffici del Magnifico Rettore Vincenzo Milanesi:


Si trasmette per conto del Magnifico Rettore
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Ai Docenti
Al Personale Tecnico e Amministrativo
Ai Dottorandi
Agli Specializzandi
Ai post-doc assegnisti
Agli Studenti


Trasmetto il documento approvato all'unanimità dal Senato Accademico il 15 settembre scorso ed invito - a nome del Senato Accademico stesso - tutti i docenti ad illustrare il contenuto del documento stesso durante la prima lezione del proprio corso all'inizio del semestre.
Cordialmente

Vincenzo Milanesi

Clicca qui per leggere il testo del documento.

domenica 14 settembre 2008

Rom picchiati a Verona dai carabinieri

Leggo, mi indigno, diffondo...

Si erano fermati fuori del paese, vicino Verona, solo per mangiare. Sono stati picchiati, sequestrati e torturati dai carabinieri per ore. La loro testimonianza

Venerdì 5 settembre 2008, ore 12. Tre famiglie parcheggiano le roulotte nel piazzale delle giostre a Bussolengo [Verona]. Le famiglie sono formate da Angelo e Sonia Campos con i loro cinque figli [quattro minorenni], dal figlio maggiorenne della coppia con la moglie e altri due minori, infine dal cognato Cristian Udorich con la sua compagna e i loro tre bambini. Tra le roulotte parcheggiate c’è già quella di Denis Rossetto, un loro amico. Sono tutti cittadini italiani di origine rom.

Quello che accade dopo lo racconta Cristian, che ha trentotto anni ed è nato a San Giovanni Valdarno [Arezzo]. Cristian vive a Busto Arsizio [Varese] ed è un predicatore evangelista tra le comunità rom e sinte della Lombardia. Abbiamo parlato al telefono con lui grazie all’aiuto di Sergio Suffer dell’associazione Nevo Gipen [Nuova vita] di Brescia, che aderisce alla rete nazionale «Federazione rom e sinti insieme».

«Stavamo preparando il pranzo, ed è arrivata una pattuglia di vigili urbani – racconta Cristian – per dirci di sgomberare entro un paio di ore. Abbiamo risposto che avremmo mangiato e che saremmo subito ripartiti. Dopo alcuni minuti arrivano due carabinieri. Ci dicono di sgomberare subito. Mio cognato chiede se quella era una minaccia. Poi cominciano a picchiarci, minorenni compresi».

La voce si incrina per l’emozione: «Hanno subito tentato di ammanettare Angelo – prosegue Cristian – Mia sorella, sconvolta, ha cominciato a chiedere aiuto urlando ‘non abbiamo fatto nulla’. Il carabiniere più basso ha cominciato allora a picchiare in testa mia sorella con pugni e calci fino a farla sanguinare. I bambini si sono messi a piangere. È intervenuto per difenderci anche Denis. ‘Stai zitta puttana’, ha urlato più volte uno dei carabinieri a mia figlia di nove anni. E mentre dicevano a me di farla stare zitta ‘altrimenti l’ammazziamo di botte’ mi hanno riempito di calci. A Marco, il figlio di nove anni di mia sorella, hanno spezzato tre denti… Subito dopo sono arrivate altre pattuglie: tra loro un uomo in borghese, alto circa un metro e settanta, calvo: lo chiamavano maresciallo. Sono riuscito a prendere il mio telefono, ricordo bene l’ora, le 14,05, e ho chiamato il 113 chiedendo disperato all’operatore di aiutarci

perché alcuni carabinieri ci stavano picchiando. Con violenza mi hanno strappato il telefono e lo hanno spaccato. Angelo è riuscito a scappare. È stato fermato e arrestato, prima che riuscisse ad arrivare in questura. Io e la mia compagna, insieme a mia sorella, Angelo e due dei loro figli, di sedici e diciassette anni, siamo stati portati nella caserma di Bussolengo dei carabinieri».

«Appena siamo entrati,erano circa le due – dice Cristian – hanno chiuso le porte e le finestre. Ci hanno ammanettati e fatti sdraiare per terra. Oltre ai calci e i pugni, hanno cominciato a usare il manganello, anche sul volto… Mia sorella e i ragazzi perdevano molto sangue. Uno dei carabinieri ha urlato alla mia compagna: ‘Mettiti in ginocchio e pulisci quel sangue bastardo’. Ho implorato che si fermassero, dicevo che sono un predicatore evangelista, mi hanno colpito con il manganello incrinandomi una costola e hanno urlato alla mia compagna ‘Devi dire, io sono una puttana’, cosa che lei, piangendo, ha fatto più volte».

Continua il racconto Giorgio, che ha diciassette anni ed è uno dei figli di Angelo: «Un carabiniere ha immobilizzato me e mio fratello Michele, sedici anni. Hanno portato una bacinella grande, con cinque-sei litri di acqua. Ogni dieci minuti, per almeno un’ora, ci hanno immerso completamente la testa nel secchio per quindici secondi. Uno dei carabiniere in borghese ha filmato la scena con il telefonino. Poi un altro si è denudato e ha detto ‘fammi un bocchino’».

Alle 19 circa, dopo cinque ore, finisce l’incubo e tutti vengono rilasciati, tranne Angelo e Sonia Campos e Denis Rossetto, accusati di resistenza a pubblico ufficiale. Giorgio e Michele, prima di essere rilasciati, sono trasferiti alla caserma di Peschiera del Grada per rilasciare le impronte. Cristian con la compagna e i ragazzi vanno a farsi medicare all’ospedale di Desenzano [Brescia].

Sabato mattina la prima udienza per direttissima contro i tre «accusati», che avevano evidenti difficoltà a camminare per le violenze. «Con molti familiari e amici siamo andati al tribunale di Verona – dice ancora Cristian – L’avvocato ci ha detto che potrebbero restare nel carcere di Verona per tre anni». Nel fine settimana la notizia appare su alcuni siti, in particolare Sucardrom.blogspot.com. La stampa nazionale e locale non scrive nulla, salvo l’Arena di Verona. La Camera del lavoro di Brescia e quella di Verona, hanno messo a disposizione alcuni avvocati per sostenere il lavoro di Nevo Gipen.

di Gianluca Carmosino (Carta)

venerdì 12 settembre 2008

Dall'altra parte: c'è speranza?

E' mesi che non scrivo su questo mio blog, purtroppo. Troppi impegni, come al solito. Prima la festa del SISM, poi gli esami, i concerti con i tambours, e ancora a correre dietro all'ultimo impegno preso con qualche amico, qualche giorno di vacanza e poi via di nuovo a padova per ricominciare, sempre prima, con la facoltà, tirocini, lezioni... Un'estate difficile, pochi giorni per riposarsi e mai del tutto.

Mi piacerebbe riprendere il filo del discorso che avevo interrotto nel post precedente, sul tema di "dall'altra parte" che tanto mi sta a cuore. Non ricordo come avrei voluto continuare, le emozioni di quei giorni sono state smorzate dal tempo e da altre, più dirette e vicine, tragedie. Lascierò allora che i frammenti rimasti si uniscano al presente sentimento di disgusto che aleggia sopra la visione di questa università per tirarne fuori qualche riga...

Avrei voluto che tutti gli studenti di medicina partecipassero a quegli incontri; eppure mi rendo conto che solo coloro i quali si fossero affacciati al problema con lo spirito di chi sente il bisogno di capire, con l'animo di un allievo di fronte al suo maestro, dove il confine tra ammirazione e venerazione è quasi invisibile ma segna vigorosamente la differenza tra rispetto e stupidità, tra coscienza e incoscienza, tra emozionante realtà e religiosità fasulla, ebbene solo quelli avrebbero potuto trarre vantaggi dalle esperienze vissute dai protagonisti di quei giorni. Persone malate, tra le cui montagne di parole l'ascoltatore doveva districarsi come un rocciatore inesperto alla sua prima vetta, per cogliere quelle poche emozioni il cui significato non fosse solo personale, ma si allargasse al progetto di ritorno all'umanità della medicina che si andava definendo. Spezzoni di frasi, spesso nemmeno concetti ben espressi, anzi erano sempre lì sotto la superficie come lastre di ghiaccio coperte da un velo d'acqua che le nasconde allo sguardo del disattento; poche fondamentali scheggie di pietra scagliate verso di noi, e che noi dobbiamo saper raccogliere per consolidare le fragili fondamenta del nostro essere medico.

E poi ti guardi intorno e ti accorgi che i vicini scavano gallerie sotto di te e che i professori, per inettitudine o semplice noncuranza, per stupidità od egoismo o per qualsivoglia altra ragione che comprenda la malafede, ti mettono i bastoni tra le ruote, non trasmettono non insegnano non comprendono la necessità della figura di un maestro di vita e d'arte che ci spinga ad emulare il meglio e superarlo. Si aggrappano a miti e fasti del passato per la paura di aprire gli occhi e rendersi conto che la loro (nostra) università sta andando a rotoli e che nessuna delle scuse addotte dai "vedenti" sia quella vera. Il nostro futuro è nelle nostre mani, al contrario di quello che credono le menti povere di fantasia e speranza, abbandonate alla prevaricazione di una superpotenza spirituale o temporale, sia essa un dio onniscente o un professore arrogante. Il fatto più triste è che molti sanno cosa andrebbe fatto, passo passo, le piccole lotte, gli attacchi silenziosi da condurre a questo sistema per rifondarlo dall'interno, ma nessuno lo fa, o quasi. Perchè costa immane fatica mantenere puri se stessi per percorrere la giusta direzione già normalmente, figurarsi quando ad ogni angolo sono a decine pronti a trascinarti verso l'irresistibile tentazione di non-dire, non-fare, non-criticare.
Ed è un attimo ad essere trascinati dalla corrente; ancor meno a perdere il ricordo di cosa è giusto; appena un istante di più a diventare come tutti gli altri, immersi nel limbo che va dal tanto non è compito mio a tanto non posso fare niente, passando per tanto non cambierà mai nulla e tanto cosa vuoi che possa fare io da solo contro tutti che non sono mica donchisciotte e qui non ci sono più mulini a vento ma palazzi in cemento armato....

Dall'altra parte è questo: l'alito della morte che riaccende la vita sotto strati di incartamenti burocratici ed impegni ininterrotti, il sapore di un piatto di spaghetti come fosse l'ultimo, ogni attimo come fosse quello che realmente è, unico e irripetibile, osservato da occhi acuti nel tempo dilatato di chi sa quanto vale ogni singola goccia di emozione.