venerdì 12 settembre 2008

Dall'altra parte: c'è speranza?

E' mesi che non scrivo su questo mio blog, purtroppo. Troppi impegni, come al solito. Prima la festa del SISM, poi gli esami, i concerti con i tambours, e ancora a correre dietro all'ultimo impegno preso con qualche amico, qualche giorno di vacanza e poi via di nuovo a padova per ricominciare, sempre prima, con la facoltà, tirocini, lezioni... Un'estate difficile, pochi giorni per riposarsi e mai del tutto.

Mi piacerebbe riprendere il filo del discorso che avevo interrotto nel post precedente, sul tema di "dall'altra parte" che tanto mi sta a cuore. Non ricordo come avrei voluto continuare, le emozioni di quei giorni sono state smorzate dal tempo e da altre, più dirette e vicine, tragedie. Lascierò allora che i frammenti rimasti si uniscano al presente sentimento di disgusto che aleggia sopra la visione di questa università per tirarne fuori qualche riga...

Avrei voluto che tutti gli studenti di medicina partecipassero a quegli incontri; eppure mi rendo conto che solo coloro i quali si fossero affacciati al problema con lo spirito di chi sente il bisogno di capire, con l'animo di un allievo di fronte al suo maestro, dove il confine tra ammirazione e venerazione è quasi invisibile ma segna vigorosamente la differenza tra rispetto e stupidità, tra coscienza e incoscienza, tra emozionante realtà e religiosità fasulla, ebbene solo quelli avrebbero potuto trarre vantaggi dalle esperienze vissute dai protagonisti di quei giorni. Persone malate, tra le cui montagne di parole l'ascoltatore doveva districarsi come un rocciatore inesperto alla sua prima vetta, per cogliere quelle poche emozioni il cui significato non fosse solo personale, ma si allargasse al progetto di ritorno all'umanità della medicina che si andava definendo. Spezzoni di frasi, spesso nemmeno concetti ben espressi, anzi erano sempre lì sotto la superficie come lastre di ghiaccio coperte da un velo d'acqua che le nasconde allo sguardo del disattento; poche fondamentali scheggie di pietra scagliate verso di noi, e che noi dobbiamo saper raccogliere per consolidare le fragili fondamenta del nostro essere medico.

E poi ti guardi intorno e ti accorgi che i vicini scavano gallerie sotto di te e che i professori, per inettitudine o semplice noncuranza, per stupidità od egoismo o per qualsivoglia altra ragione che comprenda la malafede, ti mettono i bastoni tra le ruote, non trasmettono non insegnano non comprendono la necessità della figura di un maestro di vita e d'arte che ci spinga ad emulare il meglio e superarlo. Si aggrappano a miti e fasti del passato per la paura di aprire gli occhi e rendersi conto che la loro (nostra) università sta andando a rotoli e che nessuna delle scuse addotte dai "vedenti" sia quella vera. Il nostro futuro è nelle nostre mani, al contrario di quello che credono le menti povere di fantasia e speranza, abbandonate alla prevaricazione di una superpotenza spirituale o temporale, sia essa un dio onniscente o un professore arrogante. Il fatto più triste è che molti sanno cosa andrebbe fatto, passo passo, le piccole lotte, gli attacchi silenziosi da condurre a questo sistema per rifondarlo dall'interno, ma nessuno lo fa, o quasi. Perchè costa immane fatica mantenere puri se stessi per percorrere la giusta direzione già normalmente, figurarsi quando ad ogni angolo sono a decine pronti a trascinarti verso l'irresistibile tentazione di non-dire, non-fare, non-criticare.
Ed è un attimo ad essere trascinati dalla corrente; ancor meno a perdere il ricordo di cosa è giusto; appena un istante di più a diventare come tutti gli altri, immersi nel limbo che va dal tanto non è compito mio a tanto non posso fare niente, passando per tanto non cambierà mai nulla e tanto cosa vuoi che possa fare io da solo contro tutti che non sono mica donchisciotte e qui non ci sono più mulini a vento ma palazzi in cemento armato....

Dall'altra parte è questo: l'alito della morte che riaccende la vita sotto strati di incartamenti burocratici ed impegni ininterrotti, il sapore di un piatto di spaghetti come fosse l'ultimo, ogni attimo come fosse quello che realmente è, unico e irripetibile, osservato da occhi acuti nel tempo dilatato di chi sa quanto vale ogni singola goccia di emozione.

Nessun commento: